martedì 14 agosto 2012

Arenzano a tinte rock per una notte

Era stato annunciato da settimane, l'evento clou dell'estate rock di Arenzano. All'Arena degli spettacoli, il 12 agosto 2012, si sarebbero succeduti sul palco tre tribute band, che avrebbero ripercorso la storia della musica contemporanea, partendo dai Led Zeppelin (Led n' Roll tribute), passando per i Pink Floyd (Outside the Wall), per poi terminare con i Queen (Radio Ga Ga). Così è stato, ma la serata non è sicuramente riassumibile in questo semplice schema.

Mauro Vigo (foto Genova Rock)
Iniziamo intanto nel dire che dalle ore 21.00 alle 22.00, hanno raggiunto la platea allestita per l'occasione, quasi 600 persone. Per la precisione 570, con l'aggiunta di un ulteriore numero non precisato che a causa della mancanza di posti ha dovuto ascoltare il concerto da fuori. Tralasciando questo discorso sulla quale poi ritorneremo dopo, arriviamo all'arena che alcune file di seggiolini risultano prenotate e molti posti sono già occupati. Riusciamo comunque a metterci in una buona posizione. Dirigendoci verso lo stand "alimentare" prendiamo una birra, purtroppo una famosa marca da supermercato, per di più in lattina, e un panino preconfezionato. Nemmeno il tempo di finire, che sul palco salgono i Led n' Roll, gruppo tributo ai Led Zeppelin. Dietro le strumentazioni campeggia un enorme stendardo con il nome del gruppo e ai lati, i 4 simboli scelti dai componenti originari della band, usati per rappresentarsi all'interno della copertina che sarebbe stata del capolavoro "Led Zeppelin IV". Presenta lo spettacolo Carlo Barbero, di "Genova Rock", abituè di questo tipo di concerti e conoscitore della scena musicale ligure.

Dopo una breve presentazione, inizia lo spettacolo. Si interpretano i grandi pezzi della band inglese, come "Whole lotta love", "Heartbreaker", per poi arrivare al grande classico: "Stairway to heaven". Il brano posizionato come 31° tra i migliori di sempre per la rivista "Rolling Stones", è un compendio delle idee di Jimmy Page, che quando l'ha scritto era nel momento massimo di ricerca spirituale, campo che influenzò molto la carriera del gruppo. Inserì infatti nel brano molti riferimenti alla cultura celtica e nel "reverse" alcuni messaggi subliminali.

Renato Pastorino alla chitarra e voce
(foto di Stefano Talarico)
Sul palco intanto c'è qualche problema dal punto di vista tecnico, i volumi sono palesemente regolati male e il cantante, oltre la maglietta assolutamente da bocciare, ha delle evidenti difficoltà nel riuscire a sentirsi e a poter portare avanti correttamente l'esibizione. La loro presenza sul palco termina con "Rock n' roll", altro brano famosissimo dei Led Zeppelin. Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, c'è di nuovo una breve presentazione del successivo gruppo, gli "Outside the Wall".
Questa band personalmente l'ho già sentita 5 volte, da feroce appassionato dei Pink Floyd mi sono sempre ritenuto soddisfatto, sia dalle esibizioni più "pompose" a quelle più ridotte. I componenti sono per 3/4 gli stessi dei Led n' Roll, cambia il cantate, che è anche chitarrista e si aggiunge il tastierista e occasionalmente il sassofonista. Tolto lo stendardo del gruppo precedente, si presenta sullo stage un enorme striscione raffigurante il muro di "The Wall", con i disegni di Gerald Scarfe e i martelli, simbolo dell'ipotetica dittatura descritta nel capolavoro del gruppo britannico. Al centro un cerchio bianco, utilizzato per le proiezioni di video e immagini, proprio come accadde nello storico concerto "Pulse" del 1994 all'Earls Court di Londra, per il tour promozionale dell'album "Division Bell", ultimo nella storia della band.


L'esibizione parte subito con l'album "Wish you were here", inizia l'intro di "Shine On you Crazy Diamond", dal proiettore escono le foto di Syd Barrett, canzone a lui dedicata. Il brano è ridotto rispetto alla forma originale ma rimane comunque di ottima fattura. Poi arriva "Have a Cigar", che una volta terminato ci conduce direttamente a "Dark Side of The Moon", l'album simbolo della band, incentrato sul tema dei soldi, del potere e dell'alienazione dell'essere umano, tema espresso in maniera integra poi in "The Wall". Vengono eseguiti i grandi classici, purtroppo qualcosa inizia a non andare dal punto di vista audio. Il microfono del cantante è regolato male, si sentono fastidiosi fischi ad ogni acuto. Anche la strumentazione ha un audio pessimo e sembra non ci sia modo di risolvere il problema. In maniera evidente la band porta avanti lo spettacolo come meglio può, suonando pezzi come "Time", "Money", "Confortably numb" e chiudendo poi con "Run Like Hell". Escono fra gli applausi del pubblico, anche se è palese lo scoramento per la scarsa preparazione del fonico che non è stato in grado di fargli condurre lo spettacolo come avrebbero voluto.


Foto Genova Rock
Una volta terminata l'esibizione degli "Outside the Wall" c'è spazio anche per un po di polemica, più che giustificata. Il cantante dei "Radio Ga Ga", Giorgio Pezzi, prima di iniziare il suo show, accusa le istituzioni di non aver contribuito in maniera significativa al successo dell'evento. Racconta infatti che sia la parte organizzativa, che quella pubblicitaria, è stata coordinata da volontari esterni al comune di Arenzano, che si è limitato a dare uno spazio pubblico in concessione, cosa che in altri paesi d'Europa verrebbe vista come scontata ma che qui da noi evidentemente è ancora considerata come un privilegio.

Dopo aver detto questo c'è poco tempo per prepararsi, salgono dopo pochi minuti sul palco i "Radio Ga Ga". Resta solo, con vesti diverse, il tastierista degli "Outside the Wall", gli altri componenti sono inediti per la serata, ma non per chi gli ha già visti in passato in una delle loro innumerevoli date. Si parte subito con "One Vision", brano contenuto nell'album "A kind of magic" e inserito nel film "L'aquila d'acciaio", usato abitualmente da Freddie Mercury come brano d'apertura nel "Magic Tour" del 1986. Sullo sfondo, a sostituire il muro dei Pink Floyd, troviamo la storica effige dei Queen, disegnata da Mercury in persona e apparsa per le prima volta nell'album "A day at the races" del 1976.

Si susseguono molti brani, quasi tutti famosissimi, a partire dal singolo "Princes of the universe", sigla del telefilm "Highlander" e colonna sonora dell'omonimo film. Poi "Somebody to love" e "Bohemian Rhapsody" dove tutto il pubblico canta in coro la famosa parola "Mama" che accompagna il cantato in questo fantastico brano. Poi "Bycicle", cantata ironicamente all'inizio in italiano per fare capire come le canzoni inglesi non rendano molto bene se non cantate in lingua originale. Durante "Show must go on" e "In my defence", magnifico brano di Freddie Mercury, sale sul palcouna ragazza facente parte della "radio gaga family", studentessa di danza classica, che esegue un breve balletto durante l'esecuzione dei due pezzi.

Foto Cronache Ponentine

Purtroppo la voce di Giorgio Pezzi sembrerebbe lasciar a desiderare per chi non l'avesse mai sentito in precedenza, ma per dover di cronaca, come in precedenza per gli altri due gruppi, i volumi e l'audio sono mal sistemati. La chitarra è quasi inesistente, l'impianto di casa mia avrebbe fatto più rumore. A leggere quanto scrive lo stesso cantante, anche sullo schermo personale usciva di tutto, tranne quello che gli poteva interessare. Tra le cose il service e stato imposto ai gruppi che non hanno potuto far altro che accettare.
Poi che ci siano a meno carenze tecniche non è mio compito dirlo.

Tornando al palco e terminata l'esibizione tra un "We will Rock you" cantato dal pubblico e un quasi commovente "Radio Ga Ga", salgono tutti sullo stage, per tributare una canzone al tastierista dei Deep Purple, Jon Lord, scomparso poco tempo fa. A questo punto abbiamo un batterista, tre voci (si aggiunge infatti anche il cantante, molto esagitato, di una tribute band agli U2 , i Red Sky), tre chitarre, tastiera e basso. Si intona "Smoke On the Water", pezzo inflazionato della band, ma sempre suggestivo. Una volta terminato si passa ai ringraziamenti, riguardanti che ha aiutato a sponsorizzare l'evento attaccando manifesti in lungo e in largo e per chi è venuto ad assistere a questa manifestazione musicale.

Foto Cronache Ponentine

Aldilà di ogni polemica e prendendo oggettivamente i fatti, per il numero di persone presenti e per la qualità dei gruppi da tributare, la serata, musicalmente parlando, non ha centrato in pieno il suo obbiettivo. Questo è un dato di fatto. Sicuramente complice il service non proprio competente e una situazione strutturale non ottima. Soprattutto verso la fine, partendo dagli "Outside The Wall", mancavano voci, partivano fischi e sparivano suoni. Ma oltre a questo aspetto negativo, se si parla di emozioni è stato bello sentire live pezzi che hanno segnato la vita a migliaia di persone, per poi vedere gente di ogni età tra il pubblico emozionarsi per un giro di basso o per un ritornello cantato a squarciagola con molta passione. Bello anche se non impeccabile, il duetto "padre-figlia" a voce e ballo, cose che commuovono. Le musiche dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd, la straripante voglia di "sentire" la musica dei Queen.

C'è una citazione di Jimmy Page che calza a pennello: "La tecnica non conta, io mi occupo di emozioni". Se guardiamo la serata sotto questo punto di vista non possiamo far altro che ritenerci soddisfatti.

sabato 11 agosto 2012

Il mito sopito di Rory Gallagher

Si parla spesso di chitarristi quando si discute di musica. Non appena si pronuncia lo strumento vengono in mente tantissimi artisti qualificati come migliori a livello mondiale: Jimi Hendrix, John Frusciante, David Gilmour. Questa volta volevo scrivere due righe su un artista meno considerato, soprattutto in questi ultimi anni, sparito dalle memorie dei più, rimasto nei ricordi degli appassionati di blues. Io ho avuto la fortuna di scoprirlo al Pistoia Blues 2012, dove lo storico bassista che lo accompagnò per il corso di quasi tutta la sua carriera, Gerry McAvoy, ha creato una "band of friends", per tributargli un giusto omaggio e portare ancora oggi la sua storia e la sua arte in giro per il mondo. Sto parlando di Rory Gallagher, irlandese, posizionato come 57° tra i migliori chitarristi di sempre dalla rivista Rolling Stones.

Rory inizia a suonare la chitarra all'età di nove anni, ispirato da mostri sacri del blues come Muddy Waters e Woody Guthrie. Dall'Irlanda si trasferisce a Londra intorno alla metà degli anni 60', diventando leader dei Taste gruppo da lui creato di cui è memorabile l'esibizione al famoso festival britannico all'Isola di Wight, dove sono passati nelle varie edizioni alcuni tra i più grandi musicisti di sempre, come per esempio gli Emerson Lake & Palmer, i Jethro Tull, nonché famoso per essere stato l'ultimo palco per Jimi Hendrix e per i Doors con Jim Morrison alla voce.

Gallagher sempre con i Taste e con l'uscita dell'album "On the boards" inizia a farsi conoscere nella scena nazionale ed europea, con il suo stile tecnico molto particolare e una voce con caratteri unici che lo accompagnerà fino alla fine della carriera. I Taste si sciolgono nel 1971, quando Gallagher vuole intraprendere la carriera da solita, conscio del proprio talento e della reale possibilità di successo.


Rory ingaggia Gerry McAvoy al basso, e con lui creerà un binomio indissolubile che condurrà l'irlandese presto alla fama. Dopo un paio di album che non destarono molto scalpore fra il pubblico e la critica, arrivarono due progetti alquanto audaci per l'epoca ma che ripagarono interamente l'artista e i suoi fedeli fan.


Il primo è "Tatoo", album dove si dimostra l'eleganza e la tecnica del chitarrista, che si cimenta in diversi generi contenuti in un solo album. Si passa dal Chicago blues di "Who's that coming", allo heavy di "Cradle Rock", che diventerà soggetto di molte cover dopo la sua originale realizzazione. Troviamo anche il più classico blues in "Tatoo'd lady" e un bel jazz "They don't make". L'album rende visibile alla critica Gallagher, che si rende eclettico davanti agli occhi di un pubblico troppo spesso abituato ad artisti fossilizzati su generi predefiniti, come il blues o il rock n' roll.

Il successo, la fama e la possibilità di dimostrare il suo carisma, arriva con l'Irish tour, dove Gallagher diventa un vero eroe per le folle, per il suo atteggiamento aggressivo sul palco, il suo modo di suonare la chitarra e la sua presenza scenica. A metà degli anni 70', l'isola verde era bagnata dal sangue degli scontri tra nord e sud, la situazione era tesa e il clima carico di odio fra le opposte fazioni. Ogni giorno scontri avvenivano nelle piazze e  in altri luoghi pubblici, le bombe e il terrorismo erano all'ordine del giorno. Ogni occasione era buona per ribadire una ragione su l'altra, non a caso molti artisti richiedevano esplicitamente, quando dovevano suonare in Irlanda, di fare i propri live a Dublino, dove la situazione era molto più distesa, piuttosto che a Belfast, luogo dove avvenivano principalmente i disordini. Gallagher fu uno dei pochi artisti che suonò in entrambe le località, senza creare alcun problema dal punto di vista dell'ordine pubblico. La platea veniva colpita dall'empatia percepita con il cantante e da quel figlio d'Irlanda che univa  la chitarra e la voce fino a renderle un suono unico. Da questo tour verrà registrato un album live omonimo, definito uno dei più belli di sempre.

Poi tre album, prevalentemente hard rock, intervallati da pezzi jazz e blues, principalmente rivisitati su parametri più "duri" rispetto agli originali. In questi anni, dal 75' al 79', stringe amicizia con Roger Glover, bassista dei Deep Purple, dalla quale prende spunto per un affinare il proprio stile e per creare un sound simile a quello del gruppo britannico, evidente nella canzone Moonchild.

Restato solo con il batterista Ted McKenna, ingaggia Brinsley Schwarz alle tastiere e nel 1982 inizia la collaborazione con  il sassofonista Dick Parry,  famoso per aver contribuito all'album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
Incidono "Jinx". I tempi però sono cambiati, gli anni 80' hanno portato alla ribalta il nuovo genere del rock elettronico, e Gallagher si ritrova con un sound definito dalla critica come "obsoleto". Rifiutandosi di cambiare stile per compiacere il pubblico, decide di andare a rispolverare i suoi grandi pezzi, compresi quelli dei Taste, scritti e incisi agli inizi della sua carriera.

Non a caso, dopo 5 anni, torna definitivamente a casa, con l'incisione dell'album "Defender", totalmente blues, cosi come "Fresh Evidence" e nel 1992 "Bullfrog interlude", ultimo album in studio dell'artista.


Due anni dopo, a causa dell'eccessivo consumo di alcol, Gallagher viene sottoposto ad un trapianto di fegato che non va a buon fine a causa dell'avanzato stato della cirrosi epatica. Il 14 giungo 95', all'età di 47 anni, Rory Gallagher muore e tutte le tv irlandesi, compresa la BBC, sospendono la programmazione per onorarlo e per poi trasmettere in diretta il suo funerale. Dopo la sua scomparsa esce un album postumo, "Blues days for a blues", tratto dalle BBC sessions.

Gallagher è sempre rimasto un fenomeno gaelico e sassone, il suo successo e le sue capacità contagiarono l'Europa e il mondo ma il suo modo di fare musica era sempre strettamente collegato al suo paese d'origine e alla Gran Bretagna. Spero in una riscoperta di questo artista, da parte di tutti, per quello che ha dato al blues  al rock, pezzi come "Easy come easy go" o "Shadow play" dovrebbero essere inscritti nella memoria di ogni amante della musica.

mercoledì 1 agosto 2012

I Nirvana e la Generazione X


Spesso i Nirvana sono stati definiti un gruppo di scarsi musicisti. Le loro canzoni non sono dei capolavori tecnici e la voce di Cobain non è di certo una delle più belle nel panorama musicale di tutti i tempi. Vero, ma c'è qualcosa che il gruppo di Aberdeen è riuscito a fare, entrando di diritto nella storia della musica. Nessuno dai lontani anni 60' ad oggi era riuscito ad incarnare e a raccontare il disagio giovanile in maniera così veritiera come hanno fatto i Nirvana. C'hanno provato i rocker di "stato", con le loro melodie approvate dai governi e i testi simili a delle fiabe a lieto fine, ma non ci sono riusciti o si sono limitati a lobotomizzare menti già ampliamente compromesse. Nevermind, album del 1991, come Kurt Cobain, sono stati il simbolo di un decennio, a volte anche in maniera inconsapevole. Decennio che è la perfetta rappresentazione di una generazione, la così detta "Generazione X" contesa fra la droga, i soldi, l'aids e il vagabondaggio. Dieci anni di repentini cambiamenti a livello mondiale, diffusione dell'eroina su larga scala e perdita di ogni valore morale, sfiducia nelle istituzioni, morte degli "dei" e progresso informatico sempre più inumano, che faceva cadere l'effigi delle vecchie credenze e apriva le porte ad un nuovo stile di vita altamente impersonale.


Lo spirito dei giovani era incentivato dalle nuove possibilità che gli si paravano davanti, ma che venivano veicolate quasi sempre in situazioni di disagio e spesso senza via d'uscita, come la tossicodipendenza, l'alcolismo o l'AIDS. Situazioni spesso incentivate dal potere stesso, che invece di tutelare le fasce più giovani e vulnerabili, progettava passo dopo passo il fallimento mondiale, politico ed economico, che oggi abbiamo tutti sotto gli occhi. 

I Nirvana e il movimento grunge più in generale, sono stati uno dei pochi esempi di vero anticonformismo degli ultimi 30 anni.  Nulla è riuscito a scalfire questa coltre impenetrabile di pessimismo, dettato da condizioni sociali estreme. Nemmeno i soldi hanno fatto perdere di vista a Cobain, l'idea e il mondo che si voleva raccontare. Negli anni avvenire hanno mercificato la materia dei Nirvana: i cd, i poster, le magliette indossate dalle teenager, ma lo spirito, quello che voleva suonare "Rape Me" invece che" Lithium" agli MTV Awards, è rimasto immutato. E tutt'ora quel vento di disperazione e nichilismo, spinge forte le vele di questa generazione dove non vale la pena fare nulla, dove gli dei sono caduti e la società civile, più barbara che mai, spinge i propri figli all'emarginazione.



L'epilogo dei Nirvana è stato sicuramente uno dei più tristi nella storia, che va ad accostarsi a quello di Jim Morrison. Conclusione di un cammino di autodistruzione, assolutamente inevitabile. Non è questione di omicidio o suicidio, e nemmeno di moralismo. Con questo fatto si è portato sotto i riflettori mondiali un sentimento di depressione riguardante molte persone, la "Generazione X" senza fiducia nel domani. A quasi 20 anni di distanza, quell'urlo e quella voce rimangono inascoltate, mentre i baroni e i re banchettano sui nostri anni migliori.