sabato 15 dicembre 2012

Bill Hicks promo

Oggi pomeriggio mi sono cimentato nella creazione di un promo dedicato a Bill Hicks, grande comico americano, purtroppo poco conosciuto dalla gente e molto copiato dagli artisti d'oltreoceano. Non voglio raccontare la sua storia o descrivere la sua comicità, forse scriverò un post al riguardo più avanti. Per adesso ho deciso di montare questo video, con un banalissimo Windows Movie Maker (in mancanza d'altro), per far conoscere questo personaggio a chi ancora non ha potuto farsi due risate e riflettere guardando i suoi spettacoli.

Come colonna sonora del promo ho messo "When the man comes around" di Johnny Cash, canzone sul tema dell'Apocalisse.. Calzava a pennello proprio perché come nel recitato all'inizio della canzone, anche Hicks nel suo spettacolo "Revelations" si ispira a questo tema religioso per gli argomenti trattati e per l'entrata in scena usa un "withe horses", come uno dei cavalieri della fine del mondo. Godetevelo e se vi piace fatelo girare. I'ts just a ride, see you soon!


lunedì 3 dicembre 2012

Testo e traduzione di "I fall apart" di Rory Gallagher

Chi ha letto i post precedenti sa quanta emozione provo nei confronti delle canzoni di Rory Gallagher.
Mi piace pubblicare i suoi testi, per far conoscere questo artista e il suo operato, unico nel genere.
In questo post pubblico la canzone, il testo e la traduzione di "I Fall Apart", struggente pezzo del chitarrista irlandese.

See you soon!



Like a cat that’s playing with a ball of twine
That you call my heart
Oh but baby, is it so hard to tell the two apart?
And so slowly you unwind me until I fall apart
I’m only living for the hour
That I see your face
And when that happens, I don’t want to be no other place
Till the end of time, you’ll be on my mind
I don’t mind waiting for your love
For of time I’ve got plenty of
Rain or shine, please bring out your love
Make it shine like the stars above
I’m only living for the moment
When I hear your voice
Oh I’m waiting, I don’t have any choice
And the day is long
So won’t you come to where you should be?
Like a cat that’s playing with a ball of twine
That you call my heart
Baby is it so hard to tell the two apart?
And so slowly you unwind it until I fall apart
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TRADUZIONE
Come un gatto che gioca con un gomitolo di lana
Che per te è il mio cuore
Oh piccola, è così difficile distinguere le due cose?
E lentamente mi srotoli fino ad andare a pezzi
Vivo solo per il momento
In cui vedo il tuo volto
E quando accade, non vorrei essere da nessun’altra parte
Per sempre ti penserò
Non mi interessa aspettare che t’innamori
Perché il tempo non mi manca
Capiti quel che capiti, per favore dimostrami il tuo amore
Fallo splendere come le stelle in cielo
Vivo solo per il momento
In cui sento la tua voce
Oh sto aspettando, non ho altra scelta
E le giornate sono lunghe
Allora perché non vieni dove dovresti essere?
Come un gatto che gioca con un gomitolo di lana
Che per te è il mio cuore
Oh piccola, è così difficile distinguere le due cose?
E lentamente mi srotoli fino ad andare a pezzi
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Si ringrazia il wordpress "Rocktube" per il materiale.

giovedì 1 novembre 2012

Picnic ad Hanging Rock e la scomparsa delle tre studentesse

Eccoci ritrovati per raccontare qualcosa di nuovo su questo blog troppo stesso trascurato.

Oggi oltre ad aggiornare la grafica in stile "Breaking Bad", famoso telefilm americano (se non lo conoscete guardatelo), volevo scrivere due righe su un film, che appartiene a quel filone che per tradizione lascia a bocca aperta lo spettatore alla fine della visione, non tanto per i colpi di scena o per gli effetti speciali, tanto per il fascino misterioso della trama. Dopo "Donnie Darko", vorrei parlare di "Picnic ad Hanging Rock". 

Iniziamo col dire che è stato il primo film australiano ad arrivare alla ribalta internazionale, grazie all'attenta regia di Peter Weir,  coadiuvata da Joan Lindsay, fautrice dell'omonimo racconto. Lo stesso regista mantiene fede alle scene presenti nel libro, tagliando solo alcune vicende non fondamentali e forse anche noiose per un pubblico agitato come quello cinematografico. Piccolo appunto personale: vorrei premettere da subito che secondo me questo è il film migliore di Weir insieme a "The Truman Show", altro capolavoro del regista. L'Attimo fuggente, confronto a questi, non lo considero nemmeno.

Ritornando a noi.


La trama è apparentemente semplice: ci troviamo a qualche decina di chilometri fuori Melbourne, in Australia, nel collegio Appleyard per giovani donne inglesi. L'anno è il 1900, giorno di San Valentino. La direttrice e le insegnanti decidono di organizzare un elegantissimo picnic ai piedi di un grosso complesso roccioso della zona, chiamato "Hanging Rock". Lo spostamento con carrozza conduce tutte le studentesse in quel luogo e, mentre tutti si riposano dopo il viaggio e si godono la mattina soleggiata, quattro ragazze chiedono il permesso di avvicinarsi di più alle rocce, per poterle vedere meglio e osservare dall'altro il panorama. Miranda, Irma, Marion e Edith iniziano a camminare su scoscesi sentieri. Questa fase del film è quella che preferisco. Il flauto di pan dell'artista Gheorghe Zamfir accompagna queste scene incredibilmente suggestive, dove la paura e il timore di salire troppo in alto della paffuta Irma, si mischia con l'estasi e la tranquillità espressa dai volti e dai movimenti delle altre tre ragazze, che scalano sentieri stretti fra pinnacoli di roccia grigia con grazia ed eleganza. Ad ogni cambio di inquadratura, queste quattro studentesse sembrano sparire nel nulla, salvo poi rispuntare da un tunnel di roccia o da un passaggio particolarmente stretto. La tranquilla sequenza viene spezzata in modo violento dall'urlo di terrore di Irma, che si dirige a tutta velocità verso la zona del picnic dove erano restate a riposarsi le professoresse e le altre collegiali. 

Questa, in grave stato di shock, riferisce di non ricordare nulla di ciò che è avvenuto sulla rocca, ma resta il fatto che le altre tre ragazze: Marion, Edith e Miranda, sono scomparse nel nulla. Da quel momento in poi inizieranno le ricerche spasmodiche da parte di polizia e civili, alla ricerca di un indizio e di un segno che non troveranno mai. Anche un giovane rampollo inglese, abbagliato dalla bellezza di Miranda, scrutata mentre questa compieva la sua ascesa alla rocca, decide di scalare la montagna, alla ricerca di qualche certezza o verità.
Come faccio sempre con le recensioni cinematografiche, mi fermo qui, non voglio spoilerare o rivelare altro della trama perché questo è  più un consiglio alla visione che una chiave di lettura alla pellicola. Volevo però , per quelli che leggeranno il post e hanno già visto il film e magari non hanno capito il nesso logico tra gli avvenimenti, dare qualche possibile soluzione all'intricato enigma che tutt'oggi affascina amanti del cinema e della letteratura.


Il film ha un'ambientazione precisa, l'Australia. Terra sacra per gli aborigeni, che spesso individuavano nelle montagne e nei complessi rocciosi le dimore degli dei. Come per esempio Ayers Rock, in aborigeno Uluru, venerata e protagonista di leggende e di antichi riti nativi, segnata da dipinti sacri e da impronte lasciate da uomini di ogni epoca. Nel film questa chiave di lettura è molto importante, da vedere come la sacralità della montagna. Com'è importante la colonna sonora, suonata non a caso con il flauto di pan, fondamentale in alcuni passaggi, fantastica in altri e davvero inquietante in più occasioni. In questo film si mischiano anche gli estremi di una società apparentemente perfetta ma che spesso cela dietro l'eleganza, ipocrisia e violenza psicologica. La purezza di giovani ragazze, intrappolate in questa prigione a pagamento, contrapposta al grigiore e alla cattiveria di una direttrice senza scrupoli, corrotta dalla vita e dai tradimenti, che riversa la sua rabbia su giovani innocenti. 

E' un film dai mille risvolti e dalle decine di interpretazioni. Io vi ho voluto dare qualche spunto, personale ma anche oggettivo, spero che chi guarderà la pellicola per la prima volta ne resti soddisfatto e tenti di capire, e spero che, chi l'ha già vista, possa farsi un quadro più chiaro della situazione. Per qualsiasi domanda commenti o mail!

Buona visione boys and girls!


sabato 15 settembre 2012

Tutte le sfumature del grunge e l'esperienza italiana

La Space Needle
Da appassionato, non posso far altro che esporre alcune mie idee sull'argomento, anche per cercare di non confondersi e scambiare per grunge tutto quello che può assomigliarli nel sound. Troppo spesso questo genere viene calpestato da band postume che con i loro motivetti orecchiabili e testi banali, violentano letteralmente l'essenza nata e cresciuta in quel di Seattle. Ma il grunge non è circoscrivibile ad un luogo ben definito. Quando si parla di questo vario genere, vengono in mente i gruppi più famosi, come i Nirvana di Kurt Cobain, i Pearl Jam di Eddie Vedder e gli Alice in Chains di Laney Staley. Anche i Soundgarden sono spesso portati alla ribalta, ma in misura minore. 

I gruppi sopra citati, che vengono universalmente riconosciuti come grunge, hanno differenze sostanziali fra di loro, pur mantenendo un filo conduttore, quello riguardante le tematiche trattate: malessere, violenza, smarrimento. I Nirvana appartengono ad un filone più punk, che affonda le radici in quel mondo hardcore, distrutto dal benessere materiale, dalla disco dance e dalla "bella vita" degli anni 80, mentre i Pearl Jam, gruppo più "moderato" sia nel sound che nelle tematiche, è stato molto più propenso a pescare in quel mondo rock che è riuscito a sopravvivere ad ogni cambiamento, fino ad arrivare alla devastante tendenza "AOR" dei Toto, dei Journey e di molti altri.

Una parola in più meritano gli Alice in Chains, anche perché dei Nirvana ho ampiamente parlato in un post a loro dedicato e dei Pearl Jam parlerò prossimamente. Questo gruppo si può definire il più "estremo" tra tutti quelli che hanno creato e portato avanti il genere fin dagli albori. Il sound è duro, derivato dall'heavy metal, i testi sicuramente tra i più rocciosi ed introspettivi, la morte e la distruzione sono spesso al centro delle canzoni, argomenti che hanno trovato la fertilità ideale in un periodo buio per le "new generation", dove disoccupazione e droga facevano da padrone in ogni angolo delle più grandi città americane ed europee. In questo caso è da sottolineare che, a differenza degli altri gruppi, che provavano quasi disprezzo per il genere glam metal, il cantante degli Alice in Chains, Laney Staley, proveniva proprio da quell'ambiente, facendo in precedenza cover dei Motley Crue, dei Van Halen e degli WASP. Tramutandosi in punto di unione fra i due generi si è creato un qualcosa di unico, sia stilisticamente, per le scene sul palco, ma anche per quanto riguarda il sound. 

Gli Alice In Chains
Personalmente detesto le esagerazioni glam e hair, così come sopporto a malapena il genere. Infatti anche la presenza scenica dei primi live degli Alice In Chains non mi ha fatto impazzire, pur mi sia piaciuto enormemente il suono degli LP successivi, partendo dallo storico "Jar of Flies", entrato di diritto nella storia della musica, per quell'atmosfera pesante, carica d'ansia e di disperazione che forse si riesce ad eguagliare solamente ascoltando "Something in the way" dei Nirvana. Purtroppo questa tendenza estrema della band ha portato alla morte prematura del cantante Staley e del bassista Mike Starr, entrambi a causa della dipendenza da eroina. Ci sono comunque anche altri gruppi, meno conosciuti, come i Gruntruck, adatti per gli amanti del suono grezzo e sporco, che vale la pena di ascoltare per avere chiaro il quadro del sound di Seattle.

Cambiamo in parte argomento. All'inizio di questo post ho scritto che il grunge non è circoscrivibile in un solo luogo, anche se indubbiamente l'humus culturale americano ha permesso la nascita di questa tendenza. Un amico mi ha fatto notare che anche in Italia ci sono stati gruppi che hanno esordito o si sono confermati con tendenze post punk che potrebbero richiamare il genere. Due esempi sono i Marlene Kuntz, con il loro primo album "Catartica" e i CSI con "Ko de mondo". I primi esordiscono con un album che pur avendo carattestistiche new wave e mantenendo una vena cantautoriale tipica dei gruppi italiani, ha una sonorità decisamente più dura, che fa riferimento appunto ad un retroterra culturale prettamente punk. Ascoltare "Lieve", per credere, canzone di maggiore successo dell'album e autentico capolavoro della musica italiana anni 90'. 

Qualcuno azzarda nel dire che se i Marlene Kuntz fossero stati inglesi o americani, sarebbero passati alla ribalta mondiale in poco tempo. Forse hanno ragione, ma c'è da considerare gli evidenti limiti della lingua italiana in quanto a musicalità e alcuni schemi prettamente mediterranei, come la ricerca del concetto sempre attraverso il testo, tralasciando spesso le melodie. Questi sono comunque altri discorsi. Arriviamo ai CSI, nati dalle ceneri dei CCCP che già in passato avevano manifestato con il loro post punk/new wave delle tendenze davvero uniche ed originali. Ad ora mi viene in mente la canzone "Io sto bene", dove Ferretti alla voce si interroga se quello che facciamo tutti i giorni sia effettivamente per migliorare la qualità della nostra vita, o che sia solo una formalità, magari indotta, per mantenere alcuni status. "Ko de mondo" è la storpiatura del nome di un piccolo paese emiliano, terra di provenienza di Ferretti e di Massimo Zamboni. Qui, oltre alle sonorità, si trattano argomenti delicati, come la fine di un mondo, l'aver messo al tappeto non solo l'Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino, ma anche l'idea di Europa stessa, in un gioco di idee geopolitiche e domande esistenziali. 

Sicuramente questo tipo di "grunge", rientra molto di più nei canoni post punk, ma è interessante vedere come questi due album siano stati i primi LP di due gruppi che avrebbero caratterizzato la scena alternativa italiana per un decennio, proprio nello stesso periodo in cui, dall'altra parte dell'oceano atlantico, moriva Kurt Cobain, anno 1994. Quindi, quando qualcuno obbietterà che il grunge ha prodotto poco, potete sbattergli in faccia la realtà di una generazione, che partendo dalla fine degli anni 80', arrivando alla metà dei 90', ha sfornato capolavori e modi di fare musica prendendo un po dal passato, ma affondando appieno le proprie radici nel presente. Magari non tutti uniformati sotto una stilistica ben precisa, ma con riferimenti universali adatti ad ogni luogo dove ci fosse qualcosa da rimpiangere.

giovedì 13 settembre 2012

Il blog cambia vestito!

Ero stufo di vedere quelle due farfalle enormi ogni volta aprissi il blog per leggere o scrivere. Avevano un significato, magari in pochi lo avranno capito, per questo mi metterò a spiegarlo in questo post d'addio per quel vecchio vestito che verrà riposto in armadio, destinato ad essere ricoperto di polvere.

Guardate che baffoni importanti!

La farfalla in questione, che campeggiava sul blog ma anche sulla pagina facebook di questo portale, era una elaborazione della medesima che aveva stampato sulla maglia Nick Mason, storico batterista dei Pink Floyd, al live di Pompei. Quel lepidottero era diventato per un lungo periodo, simbolo della psichedelia e dello space rock, così come le canzoni eseguite in quel live, una su tutte "Set the control for the heart of the sun", capolavoro ancestrale e tribale della band inglese.

Ora siamo passati ad un abito molto più formale, i più maligni penseranno che il blog si sia vestito a lutto, ma fortunatamente non è così. I lettori più attenti avranno sicuramente notato che l'immagine d'intestazione è tratta dal film di David Lynch "Strade Perdute", uno dei tanti capolavori del genio visionario dalla fluente chioma bianca. Detto questo, vi avviso che ci potranno essere ulteriori cambiamenti, vista la volubilità del sottoscritto. Per il resto vi rimando al post precedente, quello su Donnie Darko, nello sciagurato caso non l'aveste ancora letto.

Good luck!

lunedì 10 settembre 2012

Donnie Darko, una fessura di luce nel cinema delle banalità

Era già da un mesetto che non scrivevo sul blog, sfortunatamente non sono riuscito a tenerlo curato, per la scarsa possibilità che ho avuto in questo periodo di girare per concerti o ad eventi simili. Un po per il caldo, un po per la carenza di "pecunia" e così via.

Ritorno a "battere a macchina" per scrivere le mie impressioni sul film Donnie Darko, che avevo già visto da piccolo ma che ho avuto la fortuna di rivedere ieri sera. In un periodo dove tutti parlano di colossal come Batman, o delle solite storielle da supereroi da pensionare come in "Avengers", torna in auge nel mio personale olimpo cinematografico il film di Richard Kelly, che lo ha sceneggiato a 29 anni e che è arrivato alla ribalta mondiale grazie al successo "underground" di questa pellicola, scartata dal pubblico "bene" e rilanciata sul web attraverso un fitto passaparola virtuale.


Il film inizia con una scena che da sola potrebbe appagare gli occhi di qualsiasi appassionato, più o meno esperto di cinema. Una strada di collina, sotto ad essa un paesaggio albeggiante. In mezzo alla strada il corpo di un ragazzo, poco distante la sua bicicletta. Lui si sveglia lentamente, con un mezzo sorriso stampato sulla bocca, avvolto dalle tenebre matutine, inforca il sellino e si getta velocemente lungo una ripida discesa avvolta dalle fronde degli alberi. Donnie Darko.

Donnie è un ragazzo, va al liceo, vive nell'anno 1988, che vede protagonisti Bush e Dukakis alla corsa per la presidenza USA. Fa parte di una famiglia medio borghese, agiata, che tenta di mascherare i problemi sotto una lieve coltre di retorica. Lui deve far uso di psicofarmaci, essendo affetto da un disturbo schizofrenico-paranoico. Il suo migliore amico, infatti, è un coniglio alto un metro ottanta, che vede solo lui e che gli impartisce ordini. Questo appare con cadenza apparentemente casuale dinnanzi a lui. L"allucinazione" gli permetterà di salvarsi la vita. Infatti, mentre lui riposa in un campo da golf, spinto a dirigersi in quel luogo, proprio sopra camera sua cade la fusoliera di un aereo che poi risulterà essere scomparso nel nulla. Grazie a questo miracolo Donnie ha la possibilità di continuare a vivere la sua vita, fra ipocrisie, disagi esistenziali, la ricerca di Dio, dell'amore e del tempo perduto. Mi fermo qui con il racconto del film, non ho intenzione di "spoilerare" e di impedire a chi non l'abbia già fatto, di godersi appieno questo capolavoro del cinema contemporaneo.

Se siete stufi delle solite commedie adolescenziali, degli ormai prevedibili horror o delle saghe di fantascienza che non stupiscono più nessuno, questo è il film che fa per voi. Qualcuno ha scritto che "Donnie Darko" è come se "David Lynch prendesse in ostaggio il cast e la sceneggiatura di American Pie". Ovviamente è molto di più, ma questa è comunque una frase divertente che rende l'idea. Se volete confondere la vostra mente, cercare una soluzione ad un intrigo esistenziale, Donnie Darko potrà soddisfare la vostra voglia di emozioni e di riflessioni.


E' un film difficile da catalogare in un genere. Non esiste una realtà ben definita, pertanto la fantasia di chi guarda è indispensabile per poter avere un'opinione alla fine del lungometraggio. Non fraintendetemi, non è una sega mentale che ti lascia senza alcun tipo di soluzione, solo per il gusto di mettere dubbi irrisolvibili. Donnie Darko è una pellicola che si risponde da sola, non c'è bisogno di andare a cercare su internet possibili soluzioni per arrivare alla comprensione della trama. E' una sfida con se stessi, che ti porta a guardare il film più volte, per captare ogni singolo dettaglio, ogni singola parola, mai fuori luogo.

E' come se il regista avesse creato un film su due diversi piani narrativi, uno che ci viene proposto davanti a i nostri occhi e l'altro che è tutto da immaginare, completamente libero da ogni costrizione di plot e che comunque venga pensato non va ad interferire con quello che è il significato ultimo del film. Questo lo capiranno alla fine della proiezione le persone più attente, mentre la chiave di lettura è molto intricata ma raggiungibile con una logicità ordinata.

Qui si parla di ribellione, di amore adolescenziale, di sogni eterni che poi vanno a sfumare nell'età adulta e che invece dovrebbero accompagnare l'uomo per tutto il corso della sua vita. Si passa dall'ipocrisia moralista e bigotta, alla ricerca di Dio, arrivando poi al potere della mente e dello spazio tempo. E' una chimera perfetta, dove si analizza il socio politico e l'esistenziale senza cadere nella retorica, senza guardare solo il "bianco" o il "nero" , ma analizzando tutte le sfumature, rifiutando l'idea borghese di omologazione e conformismo.


C'è la condanna del moralismo ultra-cattolico, ma non la condanna di Dio, anzi, la ricerca dello Stesso viene quasi vista come una vocazione. Non c'è nemmeno il rifiuto del dolore, della passione, è un film intriso appieno nelle grandi domande della vita e riesce a dare una chiave di lettura unica ed originale nel suo genere.

Donnie Darko o si ama o si odia, il secondo caso, solitamente, accade a causa della difficoltà di comprendere tutte le sfaccettature della trama. Se vi piace spaventarvi per lo spiritello che esce da dietro una porta, se vi piacciono gli eventi risolutori alla "I mercenari" questo è un film che non fa per voi. Non finirete di vederlo dicendo "minchia che figata", al massimo vi passerete una mano fra i capelli per riuscire a capire quello che avete appena guardato. Sicuramente uno dei film indipendenti e non, più belli di sempre.

martedì 14 agosto 2012

Arenzano a tinte rock per una notte

Era stato annunciato da settimane, l'evento clou dell'estate rock di Arenzano. All'Arena degli spettacoli, il 12 agosto 2012, si sarebbero succeduti sul palco tre tribute band, che avrebbero ripercorso la storia della musica contemporanea, partendo dai Led Zeppelin (Led n' Roll tribute), passando per i Pink Floyd (Outside the Wall), per poi terminare con i Queen (Radio Ga Ga). Così è stato, ma la serata non è sicuramente riassumibile in questo semplice schema.

Mauro Vigo (foto Genova Rock)
Iniziamo intanto nel dire che dalle ore 21.00 alle 22.00, hanno raggiunto la platea allestita per l'occasione, quasi 600 persone. Per la precisione 570, con l'aggiunta di un ulteriore numero non precisato che a causa della mancanza di posti ha dovuto ascoltare il concerto da fuori. Tralasciando questo discorso sulla quale poi ritorneremo dopo, arriviamo all'arena che alcune file di seggiolini risultano prenotate e molti posti sono già occupati. Riusciamo comunque a metterci in una buona posizione. Dirigendoci verso lo stand "alimentare" prendiamo una birra, purtroppo una famosa marca da supermercato, per di più in lattina, e un panino preconfezionato. Nemmeno il tempo di finire, che sul palco salgono i Led n' Roll, gruppo tributo ai Led Zeppelin. Dietro le strumentazioni campeggia un enorme stendardo con il nome del gruppo e ai lati, i 4 simboli scelti dai componenti originari della band, usati per rappresentarsi all'interno della copertina che sarebbe stata del capolavoro "Led Zeppelin IV". Presenta lo spettacolo Carlo Barbero, di "Genova Rock", abituè di questo tipo di concerti e conoscitore della scena musicale ligure.

Dopo una breve presentazione, inizia lo spettacolo. Si interpretano i grandi pezzi della band inglese, come "Whole lotta love", "Heartbreaker", per poi arrivare al grande classico: "Stairway to heaven". Il brano posizionato come 31° tra i migliori di sempre per la rivista "Rolling Stones", è un compendio delle idee di Jimmy Page, che quando l'ha scritto era nel momento massimo di ricerca spirituale, campo che influenzò molto la carriera del gruppo. Inserì infatti nel brano molti riferimenti alla cultura celtica e nel "reverse" alcuni messaggi subliminali.

Renato Pastorino alla chitarra e voce
(foto di Stefano Talarico)
Sul palco intanto c'è qualche problema dal punto di vista tecnico, i volumi sono palesemente regolati male e il cantante, oltre la maglietta assolutamente da bocciare, ha delle evidenti difficoltà nel riuscire a sentirsi e a poter portare avanti correttamente l'esibizione. La loro presenza sul palco termina con "Rock n' roll", altro brano famosissimo dei Led Zeppelin. Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, c'è di nuovo una breve presentazione del successivo gruppo, gli "Outside the Wall".
Questa band personalmente l'ho già sentita 5 volte, da feroce appassionato dei Pink Floyd mi sono sempre ritenuto soddisfatto, sia dalle esibizioni più "pompose" a quelle più ridotte. I componenti sono per 3/4 gli stessi dei Led n' Roll, cambia il cantate, che è anche chitarrista e si aggiunge il tastierista e occasionalmente il sassofonista. Tolto lo stendardo del gruppo precedente, si presenta sullo stage un enorme striscione raffigurante il muro di "The Wall", con i disegni di Gerald Scarfe e i martelli, simbolo dell'ipotetica dittatura descritta nel capolavoro del gruppo britannico. Al centro un cerchio bianco, utilizzato per le proiezioni di video e immagini, proprio come accadde nello storico concerto "Pulse" del 1994 all'Earls Court di Londra, per il tour promozionale dell'album "Division Bell", ultimo nella storia della band.


L'esibizione parte subito con l'album "Wish you were here", inizia l'intro di "Shine On you Crazy Diamond", dal proiettore escono le foto di Syd Barrett, canzone a lui dedicata. Il brano è ridotto rispetto alla forma originale ma rimane comunque di ottima fattura. Poi arriva "Have a Cigar", che una volta terminato ci conduce direttamente a "Dark Side of The Moon", l'album simbolo della band, incentrato sul tema dei soldi, del potere e dell'alienazione dell'essere umano, tema espresso in maniera integra poi in "The Wall". Vengono eseguiti i grandi classici, purtroppo qualcosa inizia a non andare dal punto di vista audio. Il microfono del cantante è regolato male, si sentono fastidiosi fischi ad ogni acuto. Anche la strumentazione ha un audio pessimo e sembra non ci sia modo di risolvere il problema. In maniera evidente la band porta avanti lo spettacolo come meglio può, suonando pezzi come "Time", "Money", "Confortably numb" e chiudendo poi con "Run Like Hell". Escono fra gli applausi del pubblico, anche se è palese lo scoramento per la scarsa preparazione del fonico che non è stato in grado di fargli condurre lo spettacolo come avrebbero voluto.


Foto Genova Rock
Una volta terminata l'esibizione degli "Outside the Wall" c'è spazio anche per un po di polemica, più che giustificata. Il cantante dei "Radio Ga Ga", Giorgio Pezzi, prima di iniziare il suo show, accusa le istituzioni di non aver contribuito in maniera significativa al successo dell'evento. Racconta infatti che sia la parte organizzativa, che quella pubblicitaria, è stata coordinata da volontari esterni al comune di Arenzano, che si è limitato a dare uno spazio pubblico in concessione, cosa che in altri paesi d'Europa verrebbe vista come scontata ma che qui da noi evidentemente è ancora considerata come un privilegio.

Dopo aver detto questo c'è poco tempo per prepararsi, salgono dopo pochi minuti sul palco i "Radio Ga Ga". Resta solo, con vesti diverse, il tastierista degli "Outside the Wall", gli altri componenti sono inediti per la serata, ma non per chi gli ha già visti in passato in una delle loro innumerevoli date. Si parte subito con "One Vision", brano contenuto nell'album "A kind of magic" e inserito nel film "L'aquila d'acciaio", usato abitualmente da Freddie Mercury come brano d'apertura nel "Magic Tour" del 1986. Sullo sfondo, a sostituire il muro dei Pink Floyd, troviamo la storica effige dei Queen, disegnata da Mercury in persona e apparsa per le prima volta nell'album "A day at the races" del 1976.

Si susseguono molti brani, quasi tutti famosissimi, a partire dal singolo "Princes of the universe", sigla del telefilm "Highlander" e colonna sonora dell'omonimo film. Poi "Somebody to love" e "Bohemian Rhapsody" dove tutto il pubblico canta in coro la famosa parola "Mama" che accompagna il cantato in questo fantastico brano. Poi "Bycicle", cantata ironicamente all'inizio in italiano per fare capire come le canzoni inglesi non rendano molto bene se non cantate in lingua originale. Durante "Show must go on" e "In my defence", magnifico brano di Freddie Mercury, sale sul palcouna ragazza facente parte della "radio gaga family", studentessa di danza classica, che esegue un breve balletto durante l'esecuzione dei due pezzi.

Foto Cronache Ponentine

Purtroppo la voce di Giorgio Pezzi sembrerebbe lasciar a desiderare per chi non l'avesse mai sentito in precedenza, ma per dover di cronaca, come in precedenza per gli altri due gruppi, i volumi e l'audio sono mal sistemati. La chitarra è quasi inesistente, l'impianto di casa mia avrebbe fatto più rumore. A leggere quanto scrive lo stesso cantante, anche sullo schermo personale usciva di tutto, tranne quello che gli poteva interessare. Tra le cose il service e stato imposto ai gruppi che non hanno potuto far altro che accettare.
Poi che ci siano a meno carenze tecniche non è mio compito dirlo.

Tornando al palco e terminata l'esibizione tra un "We will Rock you" cantato dal pubblico e un quasi commovente "Radio Ga Ga", salgono tutti sullo stage, per tributare una canzone al tastierista dei Deep Purple, Jon Lord, scomparso poco tempo fa. A questo punto abbiamo un batterista, tre voci (si aggiunge infatti anche il cantante, molto esagitato, di una tribute band agli U2 , i Red Sky), tre chitarre, tastiera e basso. Si intona "Smoke On the Water", pezzo inflazionato della band, ma sempre suggestivo. Una volta terminato si passa ai ringraziamenti, riguardanti che ha aiutato a sponsorizzare l'evento attaccando manifesti in lungo e in largo e per chi è venuto ad assistere a questa manifestazione musicale.

Foto Cronache Ponentine

Aldilà di ogni polemica e prendendo oggettivamente i fatti, per il numero di persone presenti e per la qualità dei gruppi da tributare, la serata, musicalmente parlando, non ha centrato in pieno il suo obbiettivo. Questo è un dato di fatto. Sicuramente complice il service non proprio competente e una situazione strutturale non ottima. Soprattutto verso la fine, partendo dagli "Outside The Wall", mancavano voci, partivano fischi e sparivano suoni. Ma oltre a questo aspetto negativo, se si parla di emozioni è stato bello sentire live pezzi che hanno segnato la vita a migliaia di persone, per poi vedere gente di ogni età tra il pubblico emozionarsi per un giro di basso o per un ritornello cantato a squarciagola con molta passione. Bello anche se non impeccabile, il duetto "padre-figlia" a voce e ballo, cose che commuovono. Le musiche dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd, la straripante voglia di "sentire" la musica dei Queen.

C'è una citazione di Jimmy Page che calza a pennello: "La tecnica non conta, io mi occupo di emozioni". Se guardiamo la serata sotto questo punto di vista non possiamo far altro che ritenerci soddisfatti.

sabato 11 agosto 2012

Il mito sopito di Rory Gallagher

Si parla spesso di chitarristi quando si discute di musica. Non appena si pronuncia lo strumento vengono in mente tantissimi artisti qualificati come migliori a livello mondiale: Jimi Hendrix, John Frusciante, David Gilmour. Questa volta volevo scrivere due righe su un artista meno considerato, soprattutto in questi ultimi anni, sparito dalle memorie dei più, rimasto nei ricordi degli appassionati di blues. Io ho avuto la fortuna di scoprirlo al Pistoia Blues 2012, dove lo storico bassista che lo accompagnò per il corso di quasi tutta la sua carriera, Gerry McAvoy, ha creato una "band of friends", per tributargli un giusto omaggio e portare ancora oggi la sua storia e la sua arte in giro per il mondo. Sto parlando di Rory Gallagher, irlandese, posizionato come 57° tra i migliori chitarristi di sempre dalla rivista Rolling Stones.

Rory inizia a suonare la chitarra all'età di nove anni, ispirato da mostri sacri del blues come Muddy Waters e Woody Guthrie. Dall'Irlanda si trasferisce a Londra intorno alla metà degli anni 60', diventando leader dei Taste gruppo da lui creato di cui è memorabile l'esibizione al famoso festival britannico all'Isola di Wight, dove sono passati nelle varie edizioni alcuni tra i più grandi musicisti di sempre, come per esempio gli Emerson Lake & Palmer, i Jethro Tull, nonché famoso per essere stato l'ultimo palco per Jimi Hendrix e per i Doors con Jim Morrison alla voce.

Gallagher sempre con i Taste e con l'uscita dell'album "On the boards" inizia a farsi conoscere nella scena nazionale ed europea, con il suo stile tecnico molto particolare e una voce con caratteri unici che lo accompagnerà fino alla fine della carriera. I Taste si sciolgono nel 1971, quando Gallagher vuole intraprendere la carriera da solita, conscio del proprio talento e della reale possibilità di successo.


Rory ingaggia Gerry McAvoy al basso, e con lui creerà un binomio indissolubile che condurrà l'irlandese presto alla fama. Dopo un paio di album che non destarono molto scalpore fra il pubblico e la critica, arrivarono due progetti alquanto audaci per l'epoca ma che ripagarono interamente l'artista e i suoi fedeli fan.


Il primo è "Tatoo", album dove si dimostra l'eleganza e la tecnica del chitarrista, che si cimenta in diversi generi contenuti in un solo album. Si passa dal Chicago blues di "Who's that coming", allo heavy di "Cradle Rock", che diventerà soggetto di molte cover dopo la sua originale realizzazione. Troviamo anche il più classico blues in "Tatoo'd lady" e un bel jazz "They don't make". L'album rende visibile alla critica Gallagher, che si rende eclettico davanti agli occhi di un pubblico troppo spesso abituato ad artisti fossilizzati su generi predefiniti, come il blues o il rock n' roll.

Il successo, la fama e la possibilità di dimostrare il suo carisma, arriva con l'Irish tour, dove Gallagher diventa un vero eroe per le folle, per il suo atteggiamento aggressivo sul palco, il suo modo di suonare la chitarra e la sua presenza scenica. A metà degli anni 70', l'isola verde era bagnata dal sangue degli scontri tra nord e sud, la situazione era tesa e il clima carico di odio fra le opposte fazioni. Ogni giorno scontri avvenivano nelle piazze e  in altri luoghi pubblici, le bombe e il terrorismo erano all'ordine del giorno. Ogni occasione era buona per ribadire una ragione su l'altra, non a caso molti artisti richiedevano esplicitamente, quando dovevano suonare in Irlanda, di fare i propri live a Dublino, dove la situazione era molto più distesa, piuttosto che a Belfast, luogo dove avvenivano principalmente i disordini. Gallagher fu uno dei pochi artisti che suonò in entrambe le località, senza creare alcun problema dal punto di vista dell'ordine pubblico. La platea veniva colpita dall'empatia percepita con il cantante e da quel figlio d'Irlanda che univa  la chitarra e la voce fino a renderle un suono unico. Da questo tour verrà registrato un album live omonimo, definito uno dei più belli di sempre.

Poi tre album, prevalentemente hard rock, intervallati da pezzi jazz e blues, principalmente rivisitati su parametri più "duri" rispetto agli originali. In questi anni, dal 75' al 79', stringe amicizia con Roger Glover, bassista dei Deep Purple, dalla quale prende spunto per un affinare il proprio stile e per creare un sound simile a quello del gruppo britannico, evidente nella canzone Moonchild.

Restato solo con il batterista Ted McKenna, ingaggia Brinsley Schwarz alle tastiere e nel 1982 inizia la collaborazione con  il sassofonista Dick Parry,  famoso per aver contribuito all'album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
Incidono "Jinx". I tempi però sono cambiati, gli anni 80' hanno portato alla ribalta il nuovo genere del rock elettronico, e Gallagher si ritrova con un sound definito dalla critica come "obsoleto". Rifiutandosi di cambiare stile per compiacere il pubblico, decide di andare a rispolverare i suoi grandi pezzi, compresi quelli dei Taste, scritti e incisi agli inizi della sua carriera.

Non a caso, dopo 5 anni, torna definitivamente a casa, con l'incisione dell'album "Defender", totalmente blues, cosi come "Fresh Evidence" e nel 1992 "Bullfrog interlude", ultimo album in studio dell'artista.


Due anni dopo, a causa dell'eccessivo consumo di alcol, Gallagher viene sottoposto ad un trapianto di fegato che non va a buon fine a causa dell'avanzato stato della cirrosi epatica. Il 14 giungo 95', all'età di 47 anni, Rory Gallagher muore e tutte le tv irlandesi, compresa la BBC, sospendono la programmazione per onorarlo e per poi trasmettere in diretta il suo funerale. Dopo la sua scomparsa esce un album postumo, "Blues days for a blues", tratto dalle BBC sessions.

Gallagher è sempre rimasto un fenomeno gaelico e sassone, il suo successo e le sue capacità contagiarono l'Europa e il mondo ma il suo modo di fare musica era sempre strettamente collegato al suo paese d'origine e alla Gran Bretagna. Spero in una riscoperta di questo artista, da parte di tutti, per quello che ha dato al blues  al rock, pezzi come "Easy come easy go" o "Shadow play" dovrebbero essere inscritti nella memoria di ogni amante della musica.

mercoledì 1 agosto 2012

I Nirvana e la Generazione X


Spesso i Nirvana sono stati definiti un gruppo di scarsi musicisti. Le loro canzoni non sono dei capolavori tecnici e la voce di Cobain non è di certo una delle più belle nel panorama musicale di tutti i tempi. Vero, ma c'è qualcosa che il gruppo di Aberdeen è riuscito a fare, entrando di diritto nella storia della musica. Nessuno dai lontani anni 60' ad oggi era riuscito ad incarnare e a raccontare il disagio giovanile in maniera così veritiera come hanno fatto i Nirvana. C'hanno provato i rocker di "stato", con le loro melodie approvate dai governi e i testi simili a delle fiabe a lieto fine, ma non ci sono riusciti o si sono limitati a lobotomizzare menti già ampliamente compromesse. Nevermind, album del 1991, come Kurt Cobain, sono stati il simbolo di un decennio, a volte anche in maniera inconsapevole. Decennio che è la perfetta rappresentazione di una generazione, la così detta "Generazione X" contesa fra la droga, i soldi, l'aids e il vagabondaggio. Dieci anni di repentini cambiamenti a livello mondiale, diffusione dell'eroina su larga scala e perdita di ogni valore morale, sfiducia nelle istituzioni, morte degli "dei" e progresso informatico sempre più inumano, che faceva cadere l'effigi delle vecchie credenze e apriva le porte ad un nuovo stile di vita altamente impersonale.


Lo spirito dei giovani era incentivato dalle nuove possibilità che gli si paravano davanti, ma che venivano veicolate quasi sempre in situazioni di disagio e spesso senza via d'uscita, come la tossicodipendenza, l'alcolismo o l'AIDS. Situazioni spesso incentivate dal potere stesso, che invece di tutelare le fasce più giovani e vulnerabili, progettava passo dopo passo il fallimento mondiale, politico ed economico, che oggi abbiamo tutti sotto gli occhi. 

I Nirvana e il movimento grunge più in generale, sono stati uno dei pochi esempi di vero anticonformismo degli ultimi 30 anni.  Nulla è riuscito a scalfire questa coltre impenetrabile di pessimismo, dettato da condizioni sociali estreme. Nemmeno i soldi hanno fatto perdere di vista a Cobain, l'idea e il mondo che si voleva raccontare. Negli anni avvenire hanno mercificato la materia dei Nirvana: i cd, i poster, le magliette indossate dalle teenager, ma lo spirito, quello che voleva suonare "Rape Me" invece che" Lithium" agli MTV Awards, è rimasto immutato. E tutt'ora quel vento di disperazione e nichilismo, spinge forte le vele di questa generazione dove non vale la pena fare nulla, dove gli dei sono caduti e la società civile, più barbara che mai, spinge i propri figli all'emarginazione.



L'epilogo dei Nirvana è stato sicuramente uno dei più tristi nella storia, che va ad accostarsi a quello di Jim Morrison. Conclusione di un cammino di autodistruzione, assolutamente inevitabile. Non è questione di omicidio o suicidio, e nemmeno di moralismo. Con questo fatto si è portato sotto i riflettori mondiali un sentimento di depressione riguardante molte persone, la "Generazione X" senza fiducia nel domani. A quasi 20 anni di distanza, quell'urlo e quella voce rimangono inascoltate, mentre i baroni e i re banchettano sui nostri anni migliori.

lunedì 30 luglio 2012

Arenzano Rock Festival 2012

Da anni la località marina di Arenzano rappresenta per gli amanti del rock un appuntamento fisso nell'estate ligure. L'anno scorso ero andato a vedere per la prima volta gli "Outside the Wall", tribute band dei Pink Floyd che poi avrei seguito in quasi tutti i concerti a venire. Quest'anno sarà nuovamente presente questo gruppo, accompagnato in un'unica serata dai Led N' Roll:  tributo ai Led Zeppelin, composto per tre quarti dagli stessi musicisti degli "Outside the Wall", e dai Radio Ga Ga, band tributo ai Queen in attività dal 2001. 

Gli Outside The Wall all'opera

Tutti e tre i gruppi hanno già alle spalle delle presenze a questa manifestazione, che quest'anno si terrà il 12 agosto, presso l'Arena del Mare di Arenzano, situata a nord del centro storico e a pochi metri dalla stazione ferroviaria della località. L'ingresso è a pagamento, 10 euro, con posto a sedere. E' possibile prenotare chiamando il numero 348 3869308. La biglietteria aprirà alle ore 20, è disponibile un ampio parcheggio appena fuori l'arena ma è indispensabile arrivare prima dell'inizio del concerto per trovare parcheggio, vista la grande affluenza di persone nel paese di Arenzano per ragioni turistiche. 

sabato 28 luglio 2012

Il Banco del Mutuo Soccorso e "Le Orme" incantano Villa Serra

Troppo tempo era passato dall'ultimo concerto del Banco del Mutuo Soccorso a Genova, il festival Goa Boa riporta nel capoluogo ligure questo storico gruppo romano, accompagnato dall'eccezionale presenza de "Le Orme", altro complesso entrato di diritto nell'immaginario di chi gli anni del boom progressivo li ha vissuti, ma anche dei più giovani che hanno riscoperto certe musicalità anni dopo.

Il tutto è coronato dalla suggestiva location: Villa Serra di Comago. Uno dei giardini liguri più belli, condito da sentieri naturalistici e botanici, piante esotiche e dallo splendido edificio dalla quale prende il nome il parco: una villa in stile Tudor, raro esempio di architettura neogotica risalente al diciannovesimo secolo. Il palco è quello del "Breakout festival", organizzato l'anno precedente nella medesima località.

Arriviamo ai cancelli per le nove, dopo essere entrati ci dirigiamo verso il prato che ospiterà il concerto. A differenza degli eventi precedenti, sotto il palco, sono state sistemate file di seggiolini, alcuni riservati ma in maggioranza liberi. Già tutti occupati ci defiliamo ai bordi della prima fila, non prima di aver speso ben 5 euro per una birra che definire piccola sarebbe un complimento. Ci accomodiamo a terra, guardandoci attorno notiamo che c'è molta gente, più di quanto ci aspettassimo. La maggioranza è composta da persone di mezza età ma anche molti giovani sono presenti all'evento e quasi tutti indossano la storica maglia del "Banco" su cui è stampato un vecchio salvadanaio. Come ogni volta il concerto slitta di 40 minuti, un organizzatore sale sul palco per tranquillizzare il pubblico riferendo di un semplice problema tecnico. Ad un tratto le luci che puntano dritte sul prato si spengono, ed ecco salire sul palco uno ad uno i componenti de "Le Orme", che apriranno il concerto per poi fare spazio al Banco. Fabio Trentini al basso e William Dotto alla chitarra, sono seguiti dal "maestro" Michele Bon, tastierista del gruppo dagli anni novanta. Entra poi Jimmy Spitaleri, cantante della band dal 2010, con la consueta capigliatura che vede i lunghissimi capelli bianchi poggiarsi sul petto avvolto in una camicia nera anch'essa stretta in una sciarpa messa come una stola.
Per ultimo sale sul palco Michi dei Rossi, uno dei fondatori del gruppo, appartenente allo stesso dal 1967.

Il concerto inizia ed è subito un grande successo, Jimmy Spitaleri è davvero forte, una bella presenza scenica, ha una voce alquanto particolare, non convenzionale ne per i canoni rock e nemmeno per quelli prog. Questa sua particolarità lo rende superlativo nell'interpretazione de "La voce del silenzio", davvero migliorata rispetto al passato. Il batterista Dei Rossi tra una canzone e l'altra prende spesso la parola, rompendo in modo piacevole l'atmosfera attenta che si va a creare durante l'esibizione. La canzone più richiesta dal pubblico è anche quella che va a chiudere, tra le proteste dei paganti che li vorrebbero trattenere oltre, l'esibizione della band: "Gioco di bimba". Il tastierista Michele Bon da prova del suo confermato talento mostrando l'abilità con la quale si districa fra le distorsioni delle sue tastiere. Anche William Dotto e Fabio Trentini sono davvero eclettici, la maggior parte del pubblico, non avendoli mai visti suonare, considerato che anche le Orme non si vedevano a Genova da tempo, rimangono sorpresi dall'empatia creata all'interno della band, formatasi da poco, se consideriamo i continui cambi di line up alla quale è stato sottoposto il nome "Le Orme" negli ultimi 20 anni. Il gruppo esce dal palco tra gli applausi e le luci sullo stage si spengono temporaneamente.

La musica inizia ad invadere di nuovo il parco nel momento in cui appare da dietro le quinte Vittorio Nocenzi, il tastierista del Banco. Tra gli applausi scoscianti della platea si sistema sul palco, rispondendo anch'esso con un applauso all'ovazione del pubblico. Dopo di lui fa il suo ingresso Filippo Marcheggiani, chitarrista dal 1994. Iniziò la sua collaborazione con il Banco appena diciottenne e il suo talento lo portò e lo porta tutt'ora ad essere uno dei migliori chitarristi nella scena musicale italiana. "Più spettinato che mai", come lo definirà qualcuno durante la serata, si presenta con il suo basso Tiziano Ricci, nella formazione dall'89'. Lo seguirà Alessandro Papotto ai fiati. Parte l'intro di "Nudo". Sale sul palco Francesco Di Giacomo, icona indiscussa della band, marchio di fabbrica dello stile progressivo del gruppo romano. Interpreta la canzone con un'emozione evidente e dopo di essa si lascia andare a qualche battuta: "Lo spread dorme lontano da voi, non preoccupatevi" e lancia un monito di speranza, "non preoccupatevi di quello che accade ma fate come ad un concerto, non subite passivamente ma partecipate, e vediamo di cambiare insieme questa nazione di merda". Gli applausi dal pubblico si sprecano, così come l'emozione che pervade l'aria finisce per contagiare tutti.

Lo show continua con svariati pezzi storici della band, come la struggente quanto suggestiva "Canto nomade per un prigioniero politico". Il testo veritiero ai tempi dell'incisione, si ripropone con sfacciata prepotenza come tema d'attualità ancora oggi, contro il conformismo di massa e l'imbarbarimento dei popoli, armi peggiori di qualsiasi catena. Qualcuno chiede dal pubblico "Ragno", che poi verrà eseguita come pezzo di chiusura, e Di Giacomo risponde "E' una frase che andava di moda qualche anno fa ma è sempre valida, non siamo un juke box".

Sono molte le emozioni che l'esibizione trasmette al pubblico. Le note, l'armonia ma anche l'aggressività di alcune sequenze rendono l'evento davvero memorabile. La voce di Di Giacomo è semplicemente straordinaria. Uno dei momenti più belli della serata è quando il cantante del gruppo romano prende la parola e dedica una canzone ai giovani presenti: "Questa canzone la voglio dedicare con tutto il cuore e con tutta l'emozione ai giovani presenti" dice Di Giacomo visibilmente commosso, "finché ai nostri concerti vedremo dei giovani saremo consapevoli, senza essere santoni, di aver lasciato qualcosa, diciamo di aver seminato se non bene, benino". Dopo queste parole parte "750,000 anni fa l'amore", il capolavoro è realizzato e il pubblico rapito.

Con il Banco non sembra mai arrivato il momento di chiudere, ma quando escono e rientrano per concedere il bis portano con loro una sorpresa che fa accapponare la pelle ai fan del prog: gli ultimi pezzi verranno eseguiti da "Le Orme" e dal "Banco", insieme, sul palco. Ed ecco arrivare tutti i componenti delle due band, manca solo Jimmi Spitaleri, intrattenutosi un po più a lungo dietro le quinte. Lo va a prendere Di Giacomo e quando le band sono al completo esplode Villa Serra. La maggioranza del pubblico è ormai sotto il palco, si canta e si balla al ritmo di due chitarre elettriche, una acustica, un basso, due batterie, un flauto traverso o un clarinetto, due tastiere e due voci. Dopo svariati minuti di esibizione in simbiosi e il momento di spegnere la luce, ed ecco gli artisti in fila sul palco a ballare come al Moulin Rouge, mentre il chitarrista Marcheggiani fa un video col cellulare. Bacchette e plettri vengono lanciati sulle prime file e tra l'ovazione del pubblico gli artisti si congedano.

Senza alcun dubbio una serata che rimarrà impressa nella memoria di tutti i presenti. Condita da una fantastica cornice naturalistica, il Banco e Le Orme hanno dimostrato come anche un genere di musica definito spesso "pesante", può risultare coinvolgente ed interattivo, senza tralasciare l'aspetto tecnico e concettuale di questo ambito musicale.

venerdì 27 luglio 2012

New Trolls su Spreaker

Dopo il concerto genovese, sono rimasto particolarmente impressionato dalla musica dei New Trolls. Non avevo mai approfondito molto il mio rapporto con questo gruppo, ma nemmeno il tempo di iniziare e sono stato travolto da una marea di novità, segno che il cuore pulsante della musica italiana di qualità batte ancora. Vengo a conoscenza direttamente dalla pagina facebook dei New Trolls (http://www.facebook.com/musicanewtrolls), che è nato un progetto, sulla piattaforma Spreaker, di Nico Di Palo e Vittorio De Scalzi. In ogni puntata, gli storici leader del complesso, racconteranno la storia dei New Trolls attraverso una canzone. Progetto web radio molto interessante per chi, magari giovane come me, non conosce interamente la storia di questo gruppo e vuole riviverla raccontata dai protagonisti. Il player radio lo trovate nella barra destra di questo blog oppure andate direttamente su http://www.newtrollsradio.it/, dove potrete trovare ancora più informazioni sul progetto.

Buon Ascolto!

giovedì 26 luglio 2012

Genova riscopre l'anima progressive dei New Trolls

Il 25 luglio 2012, all'Arena del Mare al Porto Antico arrivano i New Trolls. O meglio, arrivano Salvi e Belleno, unici componenti originali dello storico gruppo genovese. Gli altri sono dei rimpiazzi, comunque molto bravi e all'altezza della situazione: Claudio Cinquegrana alla chitarra, Fabrizio Chiarelli voce e basso, Alessandro Del Vecchio tastiera e voce.  L'idea è quella di portare in tour UT, l'album interamente progressive della band, scritto e inciso nel 1972, dopo l'insuccesso commerciale di "Searching for a land", primo album doppio nella storia del rock italiano, cantato interamente in inglese. Il pubblico non era ancora pronto a una novità del genere, tutti si aspettavano un LP che facesse innamorare come "Concerto Grosso n1°" e invece arrivò un LP che la critica d'allora definì un po presuntuoso.

Con UT i New Trolls decidono di tornare a casa, alla latinità dei suoni e della lingua. Non a caso "UT" è una congiunzione latina che sta a rappresentare una finalità, ed è stata utilizzata fino al diciassettesimo secolo per indicare la nota Do.

Arrivo all'Arena per le nove, una bella location che si affaccia sul porto di Genova. Spero di trovare ancora qualche posto libero. Entrando mi stupisco nel vedere poca gente, qualcuno è a prendersi una birra, altri sfogliano i libri in vendita alla bancarella, mentre alcuni sono sul molo ad osservare i traghetti partire per chissà quale meta. Preso il biglietto nel primo settore, mi ritrovo in seconda fila, un buon posto tutto sommato, se non fosse per i seggiolini, così serrati fra loro, che mi costringono a tenere le gambe piegate. Decido di farmi un giro, come in ogni concerto l'inizio slitterà di una mezz'ora. Faccio due chiacchere con i venditori di magliette che vedendomi indosso la t-shirt del Pistoia Blues, mi fanno qualche domanda sull'evento. Noto che sono uno dei pochi giovani presenti, i ventenni si contano sulle dita delle mani, il resto del pubblico è composto da persone di mezz'età.

Si fanno le nove e mezza, noto che la prima fila è quasi interamente libera e occupo un posto. Ho una visuale perfetta, mentre sul palco salgono gli UT/New Trolls. Parte l'applauso. Salvi, storico tastierista, dalla sua postazione fa una breve presentazione. Si apre subito con l'album simbolo dell'evento, parte "Studio" e da lì si seguirà l'ordine naturale dell'album. Tra un pezzo è l'altro c'è quasi sempre una breve spiegazione di Salvi. La prima grande emozione della serata è l'esecuzione de "I Cavalieri del lago dell'Ontario", esegesi del prog nostrano, superbo pezzo pieno di emozioni anche visive, grazie al bellissimo testo cantato in questo caso dal nuovo bassista Fabrizio Chiarelli e dal tastierista Alessandro Del Vecchio.

Si passa dallo struggente "Chi mi può capire" a "Lights", per arrivare a "Nella sala vuota" pezzo che accompagnava l'LP "Concerto grosso n1°". Un'improvvisazione registrata nel 1972. Il batterista Belleno esegue un fantastico assolo, terminandolo visibilmente provato. Vedere la grinta e l'amore per la musica dell'esperto batterista è stato uno dei momenti più belli della serata.

Pezzo da sempre molto criticato è "Paolo e Francesca", brano che passa da un prog molto mediterraneo ad un canto da musical. Il dialogo tra i due protagonisti del brano, viene eseguito con basso e chitarra, il risultato per alcuni è abbastanza grottesco. Se era indispensabile "dire" qualcosa, sarebbe stato preferibile un vero e proprio recitato, alla "Sogno numero 2" di De André.

Poi è tutta una tirata verso la conclusione del concerto, il pubblico apprezza l'esibizione con una lunga serie di  applausi, anche se gli artisti sul palco avrebbero meritato una vera e propria standing ovation. Dopo l'ultimo pezzo, "La prima goccia bagna il viso", il gruppo esce dallo stage fra gli applausi. Molte persone si avviano verso l'uscita. Nemmeno il tempo di avvicinarmi al fonico per chiedergli di passarmi la scaletta, che ecco rientrare la band. Io mi trovavo con i gomiti poggiati sul palco insieme ad altre poche persone, mentre il tastierista Del Vecchio invitava tutto il pubblico rimasto a portarsi ai piedi della struttura. Una volta sistemati fanno un bis di "Shadows" (Adagio), molto bello. Poi si intrattengono un po con la gente. Una volta terminato il concerto, l'arena all'aperto si svuota lentamente e io riesco a farmi passare l'agognata scaletta.


Un gran bella sessione, in una suggestiva location con musica di qualità. E' sempre triste vedere alcuni seggiolini vuoti a certi eventi e magari incrociare una marea di persone in altri locali poco distanti dal concerto. Che sia più facile e meno impegnativo gettarsi in una discoteca e farsi fotografare vicino a tette giganti, piuttosto che ascoltare musica da "capire" è fuori da ogni dubbio. E non è questione di moralismo. Non pensavo semplicemente che generazioni intere si fossero rincoglionite fino a questo punto.

Complimenti a chi ci ha regalato delle emozioni e lunga vita agli Uno Tempore!

domenica 15 luglio 2012

Testo "Easy Come, easy go" di Rory Gallagher tradotto in italiano

Dopo il Pistoia Blues 2012 sono venuto a conoscenza di questo grandissimo artista irlandese. Visto che in rete è difficile trovare il testo tradotto di una delle sue più belle canzoni, "Easy come, easy go", ho deciso di postarlo io nella speranza di aiutare qualcuno nel comprendere ancora meglio questo pezzo storico per la musica rock.

Rory Gallagher - Easy come, easy go (Tradotto in italiano)

"Dopo vincite facili e perdite facili
ora non sei più così spensierata
hai trovato la spina dietro la rosa

l'hai presa così male
persa dentro te stessa
devi venire fuori presto
devi provare di nuovo
per sentire una melodia veramente nuova

un tempo era "facile vincere, facile perdere"
ultimamente senti solo note tristi
un tempo volavi e seguivi il vento
ultimamente non ti riconosco più

Non prenderla così male
le cose cambieranno
non farla così triste
il sole brillerà di nuovo

ti prego, non chiudermi fuori
di cosa si tratta in fondo?
cambierò tutto completamente
non mi vuoi lasciare entrare
non hai bisogno di un amico?

Se posso essere d'aiuto chiamami senza problemi
io sono pronto a venire e pronto ad andarmene
non dipingerla in modo così triste
quando sai che la luce brillerà

non esaurirti del tutto
chiusa dentro te stessa
devi uscire dal guscio
forza, prova di nuovo
e sentirai una melodia diversa."

Rory Gallagher - Easy come, easy go 

"From easy come and easy go, 
Now you're not so carefree. 
You found the thorn behind the rose, 
You took it, oh, so badly.

Lost inside yourself, 
You've gotta break out soon. 
You've gotta try again 
To hear a brand new tune.

Once easy come and easy go, 
You just hear sad notes lately. 
You used to fly and chase the wind, 
I don't know you lately.

Don't take it, oh, so bad, 
Things are gonna change. 
Don't make it, oh, so sad, 
The sun will shine again.

Please don't lock me out, 
What's it all about? 
I'll change it all completely. 
Won't you let me in, 
Don't you need a friend? 

If I can help, just call me.
I'm easy come and easy go, 
Don't paint it all so sadly. 
Before you know the light will shine, 
Don't burn out completely.

Locked inside yourself, 
You've gotta break out soon. 
Come on and try again, 
And hear a different tune."

BB King live al Pistoia Blues 2012

Pistoia Blues 2011: The Doors, BB King e Lou Reed, spalmati su tre giorni di festival.
Quest'anno le partecipazioni sono di caratura minore, tranne per quanto riguarda il secondo giorno. Infatti, tra i Subsonica del 12 e Paolo Nutini il 14, si staglia imperioso in Piazza del Duomo di San Zeno, l'ultima leggenda vivente del Blues: B.B. King.

E' la sua 10° partecipazione al festival toscano, sono attese 4000 persone per la serata.

Noi partiamo da casa alle 11, ci vogliono 3 ore di viaggio da Genova per arrivare a Pistoia. Acquistiamo i biglietti e imbocchiamo l'autostrada. In macchina attraversiamo tutta la riviera ligure di levante, per poi spuntare ai piedi delle alpi apuane che regalano sempre un bellissimo effetto cromatico: sembra infatti che la neve su quelle vette persista da anni.
Dopo la sosta in autogrill arriviamo a Montecatini, pochi chilometri ci separano dall'uscita autostradale di Pistoia. Paghiamo il pedaggio, ben 18 euro e 50, e ci dirigiamo verso il centro della città.
Dopo aver parcheggiato vicino allo stadio, ci buttiamo nel centro storico, affollato di bancarelle e camioncini dei porchettai. Stand di magliette e di sangria riempiono i viali, tantissima gente di ogni età e provenienza circola per questi antichi vicoli. Personalmente pensavo che la città fosse più interessante, ma mi sono dovuto ricredere. Magari ho avuto poco tempo per visitarla al meglio. Dopo un panino e una birra entriamo in piazza del Duomo, questa si di indubbio fascino e bellezza. La torre del campanile sovrasta le tribune, il battistero si intravede soltanto ma rende il tutto molto scenico. Mi ricorda vagamente Piazza del Campo a Siena.

Arriviamo che sta già suonando qualcuno. Sono i "Chicago Blue Revue", gruppo che scopriamo poi essere ligure, che coverizza pezzi blues già esistenti ma porta anche canzoni proprie. Un buon complesso, con un armonicista molto tecnico e preparato.
Dopo di loro si presentano sul palco i "Maurizio Geri Swingtet", interpretano pezzi loro, una sorta di gipsy blues mixato a tonalità più tradizionali. Intanto la piazza inizia lentamente a riempirsi, la tribuna centrale è tutta esaurita, mentre quella laterale si riempirà più avanti solo per metà. Fortunatamente è una buona giornata, non fa troppo caldo e rispetto a Milano per il concerto dei "Doors", l'atmosfera è più intima e particolare.

Si devono esibire ancora due gruppi prima della guest star della serata: il primo è un artista blues neozelandese, Paul Ubana Jones, solista, che si accompagna solamente con la propria chitarra acustica. Dopo di lui sale sul palco la "Gerry McAvoy band of friends", spettacolare tributo al chitarrista irlandese Rory Gallagher, che partecipò un anno prima della morte, nel 1994 al Pistoia Blues e che ritorna nell'aria della cittadina toscana con questo gruppo guidato dal suo bassista.

Una volta che il pubblico è stato riscaldato, sale sul palco la band di BB King. Fiatisti, coro, batterista, chitarrista e tastierista con tanto di pianoforte a coda al seguito. Iniziano con una breve session, quando ad un tratto si vede apparire in fondo al palco, annunciato dallo speaker, la leggenda vivente del blues: BB King. Posizionata la sedia al centro del palco si fa portare la sua storica chitarra "Lucille" e accompagnato dalla fedele band inizia lo show. La piazza è gremita, moltissima gente gira video e fa foto, l'attenzione è tutta concentrata su quell'arzillo ottantasettenne seduto al centro del palco. Sono molti i classici che si succedono durante il concerto, uno su tutti "The thrill is gone" che fa esplodere il pubblico. Anche "When the saints go marching in", storico pezzo interpretato da Louis Armstrong, fa cantare la platea, fomentata dallo sguardo e dalle parole di King.


Il finale si annuncia commovente, parte "You are my sunshine", e il grande bluesman dice di non voler andar via, di voler restare a cantare, perché appartiene al pubblico e a questa terra. Chiaro è il riferimento alla sua età e al tempo che gli resta per continuare a suonare e a tenere alto il vessillo del blues. Una lacrima gli solca anche il viso, il momento più emozionante della serata. Accompagnato dalla band inizia a lanciare medagliette e collane dorate sul pubblico, probabilmente oggetti che gli appartenevano. Una volta alzatosi dalla sedia, si dirige verso l'uscita dello stage, accompagnato dall'ovazione del pubblico che lo ringrazia a suo modo. Noi ci dirigiamo subito verso l'uscita della Piazza e raggiungendo un'uscita secondaria riusciamo ad incrociarlo a pochi passi di distanza. Siamo pochi a vederlo da così vicino, una fila di bodyguard ci divide da lui. Alcuni scattano foto, altri gli gridano "thank you man". Perché un uomo così non si può far altro che ringraziarlo, per tutto quello che ha dato alla musica e per l'eredità che lascia al mondo dello spettacolo.